Era l'inizio degli anni Ottanta noi pulcini della Castionese, del Gonars o della Folgore (Gris e Cuccana) il sabato pomeriggio aspettavamo i rispettivi pulmini delle nostre società sportive per andare alla partita. Tutti li, in piazza San Pellegrino a scherzare, vociare, rincorrersi ed l'attesa passava allegra.
Ma nulla poteva equagliare l'ebrezza di quando si veniva a sapere della macellazione di una bestia, fosse un vitello o un toro. Allora era tutto un correre verso la macelleria, proprio li, a ridosso della piazza, dove Nerino, il macellaio, assieme ad altri colleghi, procedeva al rito di sangue che avrebbe portato sulle nostre tavole braciole, trippe, scaloppine e via dicendo. Per noi ragazzini di campagna non c'era nulla di tragico o di spaventoso in quell'atto, anzi, c'era l'orgoglio di poter assistere ad un evento che poi avremmo raccontato con epico orgoglio ai nostri coetanei a scuola o sul campetto di calcio.
Si correva nel retro della macelleria e assiepati all'esterno della sala di macellazione si assisteva con il fiato sospeso... cadrà al primo colpo di pistola o ce ne vorranno due? O è come il toro dell'anno scorso che ne quansi scappò dopo due pistolettate nelle cervella? Ognuno aveva la sua storia tra verità e fantasia fanciullesca del toro più forte che resistette alle cariche della pistola pneumatica e che cinque, sette, dieci uomini non poterono domare se non con molta fatica.
Il rigolo di sangue, la lingua fuori, gli occhi sbarrati della bestia esanime, il macellaio eroe che vince la forza animale. Con queste immagini accogliavamo il clacson del pulmino che arrivava in piazza per portarci sul campo di calcio dove finalmente si sarebbe potuto raccontare ai compagni le gesta di Nerino.
Tutto questo fini col tempo. Noi siamo cresciuti, Nerino riposa in cielo, le bestie non vengono più macellate in paese ed anche la nuova gestione, che per pochi anni ha tenuto aperto questo angolo di storia morsanese si trasferisce in un altro paese.
Peccato.
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